Olimpiadi speciali
Queste Olimpiadi posticipate, causa Covid, ci stanno trasmettendo tante emozioni e fanno riflettere ancora una volta sull’importanza per gli atleti della preparazione mentale.
Che novità, direte. Eppure non possiamo fare a meno di notare tanti piccoli segnali che vogliamo leggere in positivo. Non possiamo fare finta che non ci sia stata la pandemia e che, inevitabilmente, per questi atleti la preparazione sia stata più lunga, impegnativa e difficile, rispetto ai loro predecessori.
Ora stanno dando prova di grande forza e professionalità che si aggiungono al talento, alla forma fisica e alle capacità tecniche.
A noi queste Olimpiadi appaiono speciali, un luogo e un momento in cui, più che mai, gli atleti stanno mettendo in evidenza il proprio vissuto personale, la parte più umana che va oltre le emozioni che emergono nel momento topico. Mostrano i valori, le battaglie dentro e fuori dai campi e non si vergognano più delle fragilità che, competizioni di questo spessore, possono far emergere prepotentemente e gli atleti parlano dell’importanza della preparazione mentale.
Esempi speciali di autentiticità
E così ci viene da pensare a Simone Biles che ci confida le sue difficoltà mentali e decide di fermarsi, a dispetto di tutte le pressioni e in barba alle critiche che non sono mancate. Una prestazione fantastica di consapevolezza, rispetto e cura di sé ben più significativa, a nostro avviso, di un’ulteriore medaglia nel suo palmares.
E ancora alla potentissima e coinvolgente Raven Saunders (medaglia d’argento al lancio del peso) con una lunga storia di depressione che l’ha portata ai limiti del suicidio e che si presenta con determinazione come donna, gay, testimonial della “National Suicide Prevention Lifeline”.
Oppure Tom Daley già bronzo a Rio e fresco campione olimpionico di Tuffi a Tokio con una medaglia d’oro e una di bronzo, icona mondiale dei diritti Lgbtq+ e grande sostenitore della preparazione mentale basata sulla mindfulness, che, mentre assiste alla finale femminile del trampolino da 3 metri, ha tirato fuori i ferri e si è messo a lavorare a maglia, la sua grande passione.
Ha una pagina Instagram dove presenta le sue creazioni e poi le mette all’asta per devolvere il ricavato alle case famiglia per ragazzi Lgbtq+ cacciati di casa. Con un solo gesto, spontaneo e naturalissimo, ha abbattuto in mondovisione decenni di tabù, pregiudizi e stereotipi della società patriarcale.
C’è poi la bella storia di Marcell Lamont Jacobs che ci ha donato l’emozione più sorprendente, non osavamo nemmeno sperare che quella medaglia potesse arrivare in Italia! Come molti atleti parla della preparazione mentale. Con un fare sempre pacato e autentico ha raccontato con naturalezza quanto lo abbia aiutato lavorare con la sua mental coach per uscire dalla gabbia delle sue emozioni.
Se l’atleta fa affiorare gli ostacoli mentali può riconoscerli, accettarli e superarli
Sono tutte esperienze esemplari, se pensiamo che le difficoltà nel fronteggiare ostacoli mentali e pregiudizi, sono sempre stati profondamente penalizzanti, mentre ora riusciamo a gioire per i grandi traguardi personali e/o sportivi che questi atleti hanno raggiunto, permettendo alle loro risorse fisiche, tecniche e mentali di fluire liberamente superando stigma, giudizi e pregiudizi.
Poi, ma ce ne sarebbero tanti altri interessanti, vogliamo parlare del bellissimo esempio dato da Gianmarco Tamberi e Barshim Mutaz, che di fronte ad un ex aequo.
Invece di scegliere la vittoria individuale, la competizione, hanno scelto di condividere la vittoria salendo insieme sul primo gradino del podio. Ci hanno fatto commuovere vedendoli gioire e poi premiarsi reciprocamente. Nessuno dei due avrebbe vinto migliorando il proprio salto, avrebbe semplicemente deciso a caso la sorte. Questa scelta invece ci sembra consapevole, un inno all’amicizia e al rispetto dell’altro e del lavoro immenso che sta dietro questo traguardo.
Il passato insegna
Certo anche in passato le Olimpiadi sono state fondamentali per la comunicazione sui temi sociali. Senza banalizzare, sentito parlare delle Olimpiadi del 1968? Sono passate alla storia più che per la competizione sportiva, per ciò che avvenne sul podio. Gli americani Tommie Smith e John Carlos, medaglia d’oro e d’argento nei 200 metri, salirono sul podio con appuntato sul petto lo stemma dell’organizzazione “The Olympic Project for Human Rights”.
L’organizzazione riuniva gli atleti solidali per i diritti umani. Erano entrambi a piedi scalzi, con il capo chino, e il pugno guantato di nero rivolto verso il cielo, mentre suonava l’inno americano.
Fu un gesto simbolico fortissimo, per rivendicare la tutela dei diritti delle popolazioni afroamericane in un anno che aveva visto tragedie come la morte di Martin Luther King e Bob Kennedy.
Un gesto che non è passato inosservato
Ma più famoso ancora fu il gesto del terzo classificato, un atleta australiano sconosciuto, Peter Norman, che tutti avremmo dimenticato se non avesse deciso di sposare anche lui la causa, appuntando coraggiosamente al petto lo stemma.
Gesto di cui pagò le conseguenze a vita, perché venne violentemente condannato dai media australiani e continuamente boicottato ed escluso da tutte le manifestazioni sportive di rilievo, inclusi i successivi Giochi Olimpici, nonostante fosse il più grande velocista australiano di tutti i tempi.
D’altronde nel ’68 ai tempi della protesta dei tre campioni olimpici a Città del Messico, in Australia ancora c’erano tensioni di piazza e manifestazioni per le problematiche di segregazione e le restrizioni che andavano avanti da un secolo nei confronti degli aborigeni e dell’immigrazione non bianca.
Il riconoscimento ufficiale del valore del suo gesto è arrivato, molto in ritardo, dopo la sua morte, quando la federazione statunitense di atletica leggera ha proclamato il 9 ottobre, data del suo funerale nel 2006, il “Peter Norman Day”. E i suoi compagni di podio, Smith e Carlos, lo hanno salutato per l’ultima volta al suo funerale, sorreggendone la bara.
Gli atleti si esprimono liberamente attraverso i loro canali social, una via per la libertà
Ciò a cui stiamo assistendo in queste Olimpiadi ci fa ben sperare.
La differenza sta sicuramente nel fatto che oggi gli atleti possono parlare, raccontare direttamente la propria esperienza e la proprie posizioni attraverso i loro canali social, non sono solo mediati dai mezzi di comunicazione.
Questo non significa che non siano sottoposti allo stigma e al giudizio ma il coraggio e la bellezza di tale forza sta proprio là. Non si può scindere l’atleta dalla persona. Per questo vogliamo credere che queste Olimpiadi siano diverse e possiamo solo gioire di questa libertà, di una nuova coscienza emergente.
Che queste olimpiadi possano far comprendere agli atleti del futuro l’importanza del liberarsi dai fardelli emotivi, dell’essere autentici e di quanto sia importante per gli atleti la preparazione mentale.
Un grande augurio a tutti gli atleti ancora impegnati in questa speciale edizione delle Olimpiadi!
Lo Staff di IntelligenzaIntuitiva